Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge contiene una riforma organica dei contratti con finalità formative e degli ammortizzatori sociali e introduce nuove forme di sostegno al reddito, seguendo le indicazioni già a suo tempo contenute nella delega approvata nel 1999.
      L'obiettivo è quello di disegnare un sistema di tutele attive dell'occupazione e del reddito, mediante strumenti che garantiscano sicurezze ai bisogni di protezione di tutte le lavoratrici e di tutti i lavoratori, non solo di quelli subordinati, rispondente alle migliori politiche sperimentate nei Paesi europei.
      La proposta di legge è parte di un disegno più ampio di riforma, che comprende anche la «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori» (atto Camera n. 104), intesa a modulare le tutele secondo le diverse necessità dei vari lavori
che caratterizzano il mondo attuale.
      La proposta di legge si collega ad altre normative specifiche dirette ugualmente a svolgere i princìpi della «Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori», in particolare per gli aspetti relativi ai servizi per l'impiego, alla formazione continua e agli incentivi all'occupazione, tutti strettamente interconnessi con un welfare attivo.
      L'urgenza di affrontare il tema degli ammortizzatori sociali si lega alla centralità che esso riveste nell'attuale momento sindacale e alla necessità di contrapporre un'organica riforma alle politiche poste in essere dal Governo Berlusconi nella precedente legislatura, che si sono dimostrate del tutto inadeguate nei contenuti, nell'estensione e nelle risorse finanziarie stanziate.
      Un sistema efficiente e universale di sicurezza sociale è una priorità della nostra politica e un presupposto fondamentale affinché le flessibilità del mercato del lavoro siano sostenibili.
      La proposta di legge parte da due presupposti:

          1) in un mercato del lavoro ove la mobilità si caratterizza come un aspetto fisiologico e non come un evento eccezionale,

 

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le misure di sostegno del reddito e dell'occupazione non possono concepirsi solo in funzione di eventi saltuari, legati al solo mondo del lavoro subordinato, ma devono rispondere a bisogni ricorrenti nella vita di tutti i lavoratori. Le tutele devono, pertanto, applicarsi anche ai lavoratori temporanei e a quelli economicamente dipendenti, che ora ne sono privi, perché i requisiti attuali per la loro fruizione sono pensati soprattutto per i lavoratori subordinati stabili. Occorre inoltre ampliare il contenuto delle provvidenze, per rispondere ai bisogni ancora largamente insoddisfatti, specie da parte dei nuovi lavori o da chi ha un reddito insufficiente. In questo senso vanno considerati meritevoli di sostegno: la continuità dei versamenti previdenziali; le esigenze personali relative, ad esempio, alle tasse scolastiche e al mutuo della casa; il reddito nei periodi di disoccupazione, ancorché con requisiti ridotti, che non scoraggi la ricerca e lo svolgimento di attività lavorative;

          2) un welfare attivo richiede che il funzionamento degli strumenti di sostegno o di integrazione del reddito sia strettamente integrato con i servizi per l'impiego, con la formazione continua e con politiche attive di inserimento al lavoro. Richiede inoltre che venga allargato lo spazio per forme aggiuntive da parte di fondi bilaterali.

      I punti politicamente più qualificanti della proposta di legge sono i seguenti:

          a) si orienta il sistema verso un modello universalistico, che risponde alle esigenze del lavoratore sia nel caso di disoccupazione (indennità di disoccupazione), sia nel caso di sospensione del rapporto di lavoro (trattamento di integrazione salariale). I trattamenti non si differenziano più in base al settore e nemmeno in base al tipo di licenziamento. In particolare, viene a cadere la macroscopica differenza di trattamento attualmente esistente tra i lavoratori licenziati per riduzione di personale, da parte di imprese con più di 15 dipendenti, che rientrano nel campo di applicazione del trattamento di integrazione salariale, e i lavoratori licenziati individualmente;

          b) il trattamento di disoccupazione con requisiti ridotti subisce una rilevante modificazione. Da un lato, si uniforma il trattamento rispetto a quelli diversificati attualmente esistenti (agricoltura, edilizia) nei diversi settori produttivi, dall'altro, si subordina l'erogazione a determinati requisiti. Infatti, poiché il trattamento rappresenta una forma di integrazione del reddito annuale di soggetti precari e discontinui, con forte intervento di sostegno a carico della finanza pubblica, la corresponsione è subordinata a forme di controllo dell'effettività dello stato di disoccupazione e a «test di mezzi»;

          c) si estende la disciplina del trattamento di disoccupazione di base e di quello a requisiti ridotti anche ai lavoratori economicamente dipendenti, introducendo forme che consentano di evitare il verificarsi di comportamenti opportunistici;

          d) si generalizza il campo di applicazione del trattamento di integrazione salariale, incentivando la costituzione di fondi bilaterali, aventi la finalità di erogare prestazioni aggiuntive rispetto a quelle del sistema universalistico;

          e) si promuove l'introduzione del piano sociale d'impresa o di gruppo, secondo le indicazioni comunitarie sulla responsabilità sociale dell'impresa;

          f) si introduce un sostegno al reddito di natura solidaristica destinato ad aiutare le persone in difficoltà, senza costituire un disincentivo alla ricerca di lavoro e al lavoro regolare;

          g) si mantiene una costante attenzione alla necessità di distinguere tra individualizzazione delle prestazioni e collegamento con il nucleo familiare, limitando all'indispensabile i casi in cui inserire vincoli derivanti dalla cosiddetta «prova dei mezzi», per evitare di introdurre discriminazioni di genere. Anzi, la prova dei mezzi viene inserita per non

 

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applicare forme di riduzione del trattamento.

      La riforma è composta da più titoli, contenenti più istituti, a segnalare la necessità di una integrazione delle politiche formative finalizzate all'occupazione, delle politiche di sostegno e di integrazione del reddito da lavoro legate alle politiche dell'occupazione e delle politiche di inclusione sociale, in attuazione anche di strategie comunitarie.
      I diversi titoli vanno pertanto considerati strettamente correlati, sia nella parte in cui intervengono riformando la disciplina vigente (in particolare i primi due titoli), sia nella parte in cui introducono forme innovative che consentano una dotazione di capitale o continuità di reddito nella forma del conto sicurezza individuale.
      La riforma non avviene senza oneri o con limitati oneri aggiuntivi per lo Stato. Alla determinazione dei costi e del finanziamento è dedicato l'ultimo titolo della proposta di legge.
      Il titolo I è dedicato all'accesso e al reinserimento nel mercato del lavoro subordinato attraverso contratti che incorporano la formazione nello svolgimento del rapporto di lavoro.
      Si sottolinea, ponendo in apertura della proposta di legge la «Promozione della formazione finalizzata all'accesso e al reinserimento al lavoro», la scelta di considerare fondamentali le politiche attive del lavoro e, in particolare, le politiche intrecciate con la formazione.
      Nel capo I è dettata la disciplina del contratto formativo. Si tratta di quel contratto di lavoro subordinato a causa mista formativa destinato a sostituire sia il contratto di formazione lavoro, ormai entrato in crisi irreversibile dopo la definitiva sentenza di condanna della Corte di giustizia delle Comunità europee nei confronti del finanziamento per i lavoratori con più di venticinque anni di età, sia il contratto di apprendistato, più volte riformato e aggiornato, ma la cui disciplina di base è ancora contenuta in una legge che risale al 1955.
      L'obiettivo è quello di introdurre una nuova disciplina, che dia una forma sostanzialmente più strutturata a uno dei tre canali previsti per l'assolvimento dell'obbligo formativo e che incorpori la parte migliore dei due contratti a causa mista formativa finora esistenti, per un nuovo contratto, dal nome semplificato: contratto formativo. La nuova definizione intende segnalare la soluzione di continuità rispetto alle due tipologie contrattuali da cui deriva e intende sottolineare l'assenza di prevalenza di un modello rispetto all'altro.
      Questo però non significa che la nuova disciplina non sia tributaria di quella che ha finora regolato il contratto di formazione e lavoro e il contratto di apprendistato. Anzi. Del primo sono ripresi alcuni meccanismi, come quello della reiterazione dell'accesso alla stipulazione di nuovi contratti solo in caso di trasformazione di una determinata percentuale di contratti a termine in contratti a tempo indeterminato, e come quello del progetto formativo allegato al contratto di lavoro.
      Del secondo sono riprese la platea di destinatari, la durata, ma anche parte dell'intreccio tra formazione esterna e formazione interna, nonché tra formazione teorica e formazione pratica, con tutoraggio.
      Nell'articolo 1 è inserita la nozione di contratto formativo, con l'accentuazione della possibilità di un impegno finalizzato al conseguimento di una qualificazione professionale anche di elevato profilo.
      Nel comma 4 si prevede la possibilità di sommare più periodi di contratto formativo, anche ai fini dell'assolvimento degli obblighi formativi previsti nel nostro ordinamento giuridico.
      L'articolo 2 individua i soggetti destinatari e distingue i lavoratori tra adolescenti (età compresa tra i quindici e i diciotto anni) e giovani (fino a venticinque anni). Si consideri che una parte della disciplina successivamente posta distingue a seconda che ci si rivolga agli adolescenti, destinatari di maggiore protezione e di maggiori incentivi, o ai giovani.
      È inserita nei commi 2 e 3 del medesimo articolo la disposizione che tende a

 

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vincolare il datore di lavoro, che intenda stipulare nuovi contratti formativi, alla trasformazione in contratti a tempo indeterminato di quelli precedentemente in essere, precisando le modalità applicative.
      L'articolo 3 è dedicato ai limiti numerici e alla computabilità, con rinvii anche alle determinazioni da parte della contrattazione collettiva. Si segnala, al comma 3, la diversa e minore incidenza degli adolescenti in contratto formativo ai fini del computo dei limiti numerici previsti dalla disciplina legislativa e contrattuale.
      L'articolo 4 precisa che il contratto deve avere forma scritta e contenere una serie di precise indicazioni, soprattutto con riferimento alla componente di formazione del contratto stesso.
      L'articolo 5 è dedicato alla formazione esterna e interna, entrambe di durata almeno pari a 120 ore e affiancate dall'attività di un tutore.
      Prosegue l'attenzione alla formazione nell'articolo 6, destinato alla registrazione, su apposita scheda professionale, della formazione esterna e interna svolta, e alla sua certificazione. Da segnalare, al comma 3, la possibilità di ritenere utile la formazione svolta nel corso di un contratto formativo venuto a interrompersi nei confronti di un nuovo contratto formativo; e al comma 5, la possibilità di procedere all'integrazione della formazione esterna in caso di mancato conseguimento degli obiettivi previsti.
      La disciplina del rapporto di lavoro è stabilita all'articolo 7, con consistenti rinvii alla disciplina di fonte contrattuale collettiva. Gli istituti considerati nei singoli commi sono: il periodo di prova, di durata non superiore a due mesi; l'assegnazione di mansioni e il suo eventuale mutamento; l'orario di lavoro; il trattamento economico; la durata del rapporto; i diritti e le modalità della sua conservazione in caso di legittima sospensione del rapporto; il recesso; il trattamento di fine rapporto.
      L'articolo 8 estende le prestazioni previdenziali e assistenziali, rimuovendo una delle più evidenti e ingiustificate disparità di trattamento dei contratti vigenti a causa mista formativa e, soprattutto, dell'apprendistato.
      Nell'articolo 9 è dettata la riforma della disciplina in materia di contribuzione. La contribuzione è esclusa nel contratto formativo stipulato con adolescenti. La quota ordinaria di contribuzione a carico del datore di lavoro, in funzione del miglioramento generale del sistema delle tutele, è fissata al 5 per cento ed è destinata a ridursi nel settore artigiano e nelle imprese di piccole dimensioni. Un'ulteriore riduzione è prevista in caso di stipulazione di contratti formativi che consentano un riequilibrio di genere nella qualificazione professionale di destinazione.
      La quota ridotta di contribuzione è ancora collegata alla partecipazione dei lavoratori alle attività di formazione esterna, con salvaguardia nel caso di mancata partecipazione dovuta a carenze nella programmazione e nell'attivazione delle iniziative da parte dell'amministrazione regionale competente. Si segnala la previsione, posta in chiusura del comma 3, del trasferimento a carico di queste amministrazioni degli oneri relativi alle agevolazioni contributive concesse.
      L'articolo 10 è dedicato al sistema di informazione sindacale e al monitoraggio, affidato alle regioni, per il tramite dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori.
      L'articolo 11 si occupa delle sanzioni, prevedendo in determinati casi la trasformazione del contratto a tempo indeterminato, e delle sanzioni amministrative.
      L'articolo 12, di chiusura della parte dedicata al contratto formativo, prevede l'abrogazione dettagliata di tutte le disposizioni in materia di contratti di formazione e lavoro e di contratti di apprendistato.
      Nel capo II del titolo I è contenuta la disciplina del contratto di inserimento lavorativo.
      Si tratta di un contratto di inserimento o di reinserimento al lavoro, connesso all'attuazione di un progetto formativo, destinato alle cosiddette «fasce deboli» del lavoro: disoccupati e inoccupati di lunga durata; disoccupati con più di quarantacinque
 

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anni di età; persone che rientrano al lavoro dopo un periodo di attività di lavoro di cura. Si tratta di fasce di disoccupati e di inoccupati euro-compatibili, per i quali è possibile prevedere una incentivazione alla stipulazione del contratto.
      L'articolo 13 si occupa dell'individuazione dei lavoratori destinatari della misura e con i quali può pertanto essere stipulato un contratto di inserimento lavorativo.
      L'articolo 14 detta la tipologia e la disciplina di questo contratto, che prevede lo svolgimento di un progetto formativo in collegamento, sia preventivo sia successivo, con il centro per l'impiego territorialmente competente. Il contratto può essere stipulato sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato. In questa seconda ipotesi sono previste specifiche disposizioni (commi 3, 4 e 5).
      Il terzo articolo del capo II (articolo 15) stabilisce l'incentivazione e collega la quota di contribuzione, per i primi due anni, a quella prevista nel contratto formativo. È questo un ulteriore modo per segnalare la contiguità tra i due contratti: il primo, più regolato, destinato agli adolescenti e ai giovani fino ai venticinque anni di età; il secondo, a minor grado di dettaglio, destinato a favorire l'accesso o il reingresso al lavoro di alcune fasce di lavoratori, determinate tenendo conto delle indicazioni provenienti dalla fonte comunitaria.
      Nel titolo II, dedicato ai sostegni al reddito, è contenuta la riforma, da lungo tempo attesa, dei cosiddetti «ammortizzatori sociali». Nell'articolato si supera questa nozione ispirata a una visione passiva dell'intervento e ormai priva di effettivo significato generale, ampliandone la funzione originaria e puntando all'armonizzazione per tutti i lavori e per tutti i settori produttivi.
      L'operazione di armonizzazione è svolta avendo come punto di riferimento l'esigenza di garantire l'universalizzazione dei diritti e l'armonizzazione dei trattamenti.
      L'intera riforma è basata sull'integrazione con la formazione continua e con i servizi per l'impiego, la cui azione diventa strategica, sia per quanto riguarda l'orientamento sia per quanto riguarda la verifica dello stato effettivo di disoccupazione o di inoccupazione.
      Il capo I è dedicato al sostegno al reddito in caso di disoccupazione e di sospensione del rapporto di lavoro.
      Per quanto riguarda il trattamento di disoccupazione sono previste l'armonizzazione e l'estensione del trattamento, destinato a realizzare un comune livello di protezione e di integrazione del reddito in caso di perdita della precedente attività lavorativa, superando l'attuale frammentazione tra indennità ordinarie e speciali di disoccupazione e indennità di mobilità.
      Sono, pertanto, elevati sia la durata, sia l'importo dell'indennità di disoccupazione; si interviene sulla disoccupazione a requisiti ridotti, uniformando e generalizzando il trattamento; si estende l'assicurazione a tutte le persone con contratto di lavoro subordinato, anche in forma discontinua o che svolgono attività di lavoro caratterizzate da una situazione di dipendenza economica, sulla base di specifici requisiti per tenere conto delle peculiarità della diversa tipologia contrattuale; si incrementa il finanziamento anche grazie al versamento da parte del datore di lavoro, al momento del licenziamento, di una somma pari a un determinato numero di mensilità.
      Il sistema riformato prevede pertanto un duplice livello: il trattamento di disoccupazione e il trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti.
      Entrambi i trattamenti sono estesi anche ai lavoratori economicamente dipendenti, accogliendo la definizione contenuta nella citata «Carta dei diritti delle lavoratrici e di lavoratori», lavoratori che coincidono, almeno ai fini dell'articolato in oggetto, con i lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, iscritti alla gestione separata dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995.
 

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      Date le nuove finalità, viene introdotto un miglioramento della disciplina del trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti, che fa leva anche sul coordinamento tra questo intervento di integrazione del reddito e un'ulteriore forma di sostegno finalizzata a incentivare successive giornate di svolgimento di attività lavorativa.
      Si è tenuto inoltre conto che nei Paesi europei si è andata consolidando l'opinione che le politiche di sostegno monetario al reddito possano costituire un disincentivo alla ricerca attiva di lavoro (problema di moral hazard) o, peggio, facciano aumentare i comportamenti opportunistici rivolti ad acquisire reddito da lavoro in forma irregolare per evitare di perdere il diritto ai benefìci del welfare (problema dell'elevatezza dell'aliquota marginale d'imposta e, quindi, dei meccanismi di «trappola della povertà»).
      Per limitare le conseguenze indesiderate di questi strumenti, in un sistema che rivendica il valore dei sostegni di natura solidaristica per le persone in difficoltà, è stato perciò individuato uno schema di intervento finalizzato sia al sostegno del reddito da lavoro corrente, sia all'integrazione dei versamenti contributivi per incrementare i benefìci pensionistici in età di ritiro.
      In questo modo viene fornita una risposta all'esigenza di dare maggiore consistenza alla contribuzione delle carriere meno strutturate e si crea un incentivo all'emersione del lavoro irregolare.
      Il finanziamento è sostenuto in parte dalla fiscalità generale e in parte dai contributi del datore di lavoro. È prevista una contribuzione a carico anche del lavoratore, motivata dalla generale estensione dei trattamenti di integrazione, in assorbimento dell'aliquota dello 0,3 per cento, finora destinata solo alla cassa integrazione guadagni straordinaria, e quale fattore di responsabilizzazione circa l'uso del sistema, data anche la mobilità sempre più elevata nel mercato del lavoro.
      Per quanto riguarda le imprese, il contributo è in parte modulato con riferimento alla tipologia del singolo rapporto di lavoro, con un incremento in caso di rapporti di lavoro a termine. In questo modo le imprese partecipano in misura più equa ai costi del sistema avendo i rapporti di tipo discontinuo una maggiore probabilità di dover ricorrere ai trattamenti previsti dal sistema degli ammortizzatori.
      Il trattamento di disoccupazione, regolato dall'articolo 16, viene aumentato nella misura e nella durata e strutturato, a somiglianza di quello di mobilità, secondo un'articolazione che tiene conto dell'età del disoccupato e delle caratteristiche occupazionali del territorio nel quale si trova. La riduzione progressiva del trattamento, prevista a partire dalla base costituita dal primo anno di erogazione, non si applica a fronte di particolari condizioni del nucleo familiare (commi 2, 3, 4).
      Il trattamento di disoccupazione diventa universalistico, con estensione anche ai lavoratori economicamente dipendenti (comma 1, sulla base della disciplina posta all'articolo 18).
      Si chiamano anche i lavoratori a partecipare, come nel resto d'Europa, al finanziamento della prestazione. A compensazione vengono sollevati dall'obbligo del pagamento del contributo dello 0,30 per cento alla cassa integrazione guadagni straordinaria (comma 7).
      La contribuzione dei datori di lavoro, per i motivi già richiamati, viene elevata con riferimento ai rapporti di lavoro a termine (comma 8).
      È previsto il pagamento di una determinata somma per ciascun lavoratore licenziato per motivi oggettivi o per riduzione di personale o che si sia dimesso per giusta causa. È previsto un incentivo, in caso di licenziamento collettivo, finalizzato al raggiungimento di un accordo collettivo che abbia introdotto un piano sociale d'impresa o di gruppo (comma 9).
      Poiché il licenziamento costituisce il presupposto per il riconoscimento della prestazione e, in caso di scelta che ricade sul datore di lavoro, costituisce anche base per il pagamento aggiuntivo di somme, si detta una disposizione che dovrebbe sventare sia la prassi del rilascio al datore di lavoro, al momento dell'assunzione, di una
 

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lettera in bianco di dimissioni, sia quella del licenziamento mascherato da dimissioni (comma 11).
      Si dettano disposizioni in materia di decadenza dalla prestazione e volte a contrastare il lavoro nero, in stretta correlazione con quanto già previsto nell'ordinamento (commi 12, 13 e 14).
      Si dispone l'applicazione ai trattamenti in godimento alla data di entrata in vigore della nuova legge delle previgenti disposizioni in materia di disoccupazione ordinaria, speciale e di indennità di mobilità (comma 15).
      Nell'articolo 17 si innova il trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti per i lavoratori subordinati discontinui.
      Si dilata la platea dei soggetti e si uniforma il requisito di anzianità lavorativa portato, per tutti, a settanta giorni lavorativi (comma 1).
      Si introducono vincoli che, da un lato, fanno riferimento alla permanenza dello stato di disoccupazione per tutti i restanti giorni lavorativi dell'anno e, dall'altro, prevedono l'erogazione del trattamento solo fino alla concorrenza di un reddito calcolato sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e pari a una soglia di medio livello.
      L'introduzione della prova dei mezzi, in presenza di un trattamento che si colloca fuori dall'ordinario rapporto assicurativo, trova la sua motivazione nella necessità di destinare selettivamente le risorse pubbliche. La fissazione della soglia di reddito a un livello sufficientemente elevato risponde all'esigenza di evitare eccessive penalizzazioni al lavoro femminile.
      L'articolo 18 provvede a specificare le condizioni dell'estensione del trattamento di disoccupazione, di base e a requisiti ridotti, ai lavoratori che svolgono collaborazioni coordinate e continuative, iscritti alla citata gestione separata dell'INPS.
      La disposizione fornisce una risposta all'esigenza di garantire la conoscenza della durata del rapporto e dell'ammontare del corrispettivo, in modo da poter applicare i trattamenti di disoccupazione: da un lato, si precisa che le condizioni del contratto sono quelle dichiarate al momento dell'inizio dell'attività lavorativa nel documento consegnato ai servizi per l'impiego competenti (comma 2); dall'altro, si precisa che per proporzionare il compenso alla durata si fa riferimento al minimale di reddito mensile stabilito per la gestione degli esercenti attività commerciali a fini previdenziali (comma 3).
      Per quanto riguarda la cassa integrazione guadagni, ferma restando la disciplina vigente circa le causali di ammissione e la durata dei trattamenti, è prevista la sua estensione anche alle piccole imprese e ai settori finora scoperti, grazie alla fiscalizzazione dei contributi destinati alla Cassa unica assegni familiari (CUAF), in ottemperanza a un impegno contenuto nel Patto sociale per lo sviluppo e l'occupazione della fine del 1998, in una disposizione cui finora si era data attuazione solo sul versante dello sgravio parziale della contribuzione di maternità.
      L'obiettivo è quello di finalizzare l'istituto della cassa integrazione guadagni non esclusivamente alla composizione dei conflitti, in caso di eccedenza di personale.
      Le direzioni della riforma sono pertanto le seguenti:

          a) uniformare il trattamento economico all'indennità di disoccupazione riformata;

          b) rendere più stringente il collegamento tra l'intervento di cassa integrazione guadagni straordinaria e il ricorso ai contratti di solidarietà, oltre che ai piani sociali d'impresa o di gruppo, incentivando le aziende a farsi carico attivamente della sorte dei propri dipendenti in caso di crisi, secondo il modello di piano sociale già adottato in altri Paesi europei e in linea con le indicazioni della disciplina di fonte comunitaria sulla responsabilità sociale delle imprese;

          c) introdurre anche un vincolo in relazione al ricorso preventivo all'introduzione di regimi flessibili degli orari, in modo tale da ricorrere alla risorsa solo dopo che si sia già cominciato ad assorbire le eventuali variazioni negative del fabbisogno produttivo;

 

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          d) estendere gli istituti di integrazione salariale a tutti i dipendenti di imprese private e, quindi, a tutte le categorie finora escluse e alle imprese di minori dimensioni, senza porre loro maggiori oneri contributivi, stante la predetta fiscalizzazione del versamento alla CUAF;

          e) affidare a fondi bilaterali, categoriali o intercategoriali, di origine contrattuale collettiva, la previsione di maggiori condizioni di trattamento.

      All'articolo 19, comma 1, si generalizza l'applicazione del sistema della cassa integrazione guadagni.
      Si uniforma il trattamento a quello di disoccupazione (comma 2), con un vincolo per quanto riguarda la possibile successione, nell'arco di un quinquennio, delle due forme di sostegno del reddito, in modo da evitare pratiche di eccessiva sommatoria di periodi di sospensione e periodi di disoccupazione, ma anche di non penalizzare eccessivamente il lavoratore che, precedentemente sospeso dal lavoro e ancora tranquillo sotto il profilo del mantenimento dell'occupazione, si trovi ad essere licenziato (comma 3).
      Si penalizza, comunque, il datore di lavoro che licenzi per motivi oggettivi o per riduzione di personale il lavoratore sospeso o dopo breve tempo dal termine della sospensione del rapporto di lavoro (comma 5).
      Si pone come condizione per le imprese, per poter fruire dell'intervento di integrazione salariale, l'adozione di un piano sociale, che preveda interventi quale un regime flessibile degli orari. D'altro canto, si pone come condizione per i lavoratori la disponibilità, durante la sospensione del lavoro, soprattutto se totale, alla formazione o allo svolgimento di attività di utilità sociale (comma 4).
      Si prevede la destinazione del contributo alla CUAF, fiscalizzato (così come prevede il Patto sociale del 1998), al finanziamento della cassa integrazione guadagni (comma 6). In questo modo si garantisce un ingresso indolore, sotto il profilo economico, da parte delle piccole imprese e delle imprese finora escluse dal meccanismo di integrazione salariale.
      L'articolo 20 si occupa dei fondi bilaterali per il sostegno del reddito e dell'occupazione.
      Si tratta di fondi finora esistenti proprio nei settori esclusi dalla cassa integrazione guadagni, di cui si prevede la generalizzazione (comma 5).
      Tali fondi sono destinati a farsi carico di costruire sistemi aggiuntivi delle prestazioni di sostegno al reddito.
      La promozione di questa forma di bilateralità di origine contrattuale collettiva avviene mediante l'esclusione dei contributi versati, nel limite del 2 per cento, dalla base retributiva imponibile (comma 2).
      I fondi bilaterali possono stipulare convenzioni con l'INPS (comma 3) e con le regioni (comma 4).
      Il capo II del titolo II è dedicato a introdurre innovativi meccanismi di sostegno al reddito dei lavoratori subordinati discontinui, autonomi ed economicamente dipendenti, nonché disposizioni in materia di previdenza complementare.
      Sono previste due misure, di cui la prima è indirizzata ai lavoratori, sia subordinati sia economicamente dipendenti, che svolgono attività intermittenti per una durata complessiva limitata nell'arco dell'anno e che, di conseguenza, beneficiano del trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti, riformato nell'articolo 17, mentre la seconda è destinata esclusivamente ai lavoratori economicamente dipendenti, per colmare il differenziale contributivo a fini pensionistici.
      Alla base vi è l'idea che si possano indirizzare risorse finanziarie in modo congiunto sia al sostegno del reddito da lavoro corrente, quando il reddito è basso e il lavoro è precario, sia all'integrazione dei versamenti contributivi per incrementare i benefìci pensionistici in età di ritiro.
      Per quanto riguarda il primo obiettivo, il meccanismo è pensato per completare il trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti - e, infatti, i destinatari sono i medesimi - anche al fine di aumentare la propensione a dichiarare l'attività di lavoro nei giorni successivi a quelli minimi

 

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sufficienti per ottenere il primo trattamento.
      Per quanto riguarda il secondo obiettivo, cioè l'integrazione dei versamenti contributivi, esso si basa su un'aliquota aggiuntiva rispetto ai contributi effettivamente versati alla gestione separata dell'INPS, e dovrebbe fungere, a sua volta, da incentivo economico all'emersione.
      Il sistema posto all'articolo 21, sul trattamento di sostegno del reddito, è pensato per produrre un'integrazione lineare dei redditi effettivi acquisiti con prestazioni lavorative, a decorrere dal giorno successivo al settantesimo, cioè dal giorno successivo a quello che dà diritto al trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti.
      L'integrazione prevede anche un tetto massimo (dopo ottanta giorni) al completamento dell'integrazione pari all'1,25 per cento della differenza tra la soglia di 9.300 euro, indicizzata, e il reddito da lavoro percepito (comma 1).
      Entra a far parte del reddito da lavoro percepito anche il trattamento di disoccupazione a requisiti ridotti (comma 3).
      Sono previste regole in caso di attività lavorativa svolta a tempo parziale (comma 4). Sono altresì specificati i casi di decadenza dal diritto all'integrazione del reddito (comma 5).
      I commi 6 e 7 si occupano della disciplina di dettaglio per quanto riguarda le modalità di richiesta del beneficio, l'individuazione del reddito di riferimento e la percezione dell'integrazione.
      All'articolo 22 sono previste disposizioni sia per l'integrazione dei contributi previdenziali, sia per la totalizzazione e la ricongiunzione ai fini pensionistici per i lavoratori economicamente dipendenti.
      Il meccanismo introdotto ai commi 2 e 3 è destinato a realizzare l'integrazione contributiva, evitando di creare «trappole della povertà» e nel contempo cercando di tener fede all'impegno di destinare risorse all'emersione del lavoro.
      Il comma 4 è destinato, invece, a estendere espressamente il meccanismo della totalizzazione per le prestazioni liquidate con il metodo di calcolo retributivo e contributivo, nonché il meccanismo della ricongiunzione.
      L'articolo 23 reca norme per estendere i diritti di sicurezza ai lavoratori subordinati discontinui, autonomi ed economicamente dipendenti.
      All'articolo 24 sono previste disposizioni che modificano il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, concernente la regolamentazione della previdenza complementare, al fine di favorirne l'estensione e lo sviluppo anche attraverso l'utilizzo di quote del trattamento di fine rapporto definendo procedure contrattuali.
      Il titolo III è dedicato al sostegno per i giovani disoccupati e inoccupati, mediante l'attribuzione ai giovani, al compimento dei diciotto anni di età, di una «dotazione finanziaria di capitale» da utilizzare in progettualità per il futuro, in particolare in formazione. Tale dotazione prende la forma della concessione di un prestito di almeno 15.000 euro, di cui una parte da non restituire e una parte da restituire con tempi e modalità differenziati a seconda delle condizioni reddituali. Il prestito avrà garanzia pubblica e copertura pubblica degli oneri derivanti da interessi fortemente agevolati, per l'individuazione dei limiti di finanziamento dei quali si utilizzano i proventi dell'imposta sulle donazioni e successioni, che viene reintrodotta.
      Le motivazioni a sostegno nella proposta di legge concernono tanto la sfera dell'equità quanto quella dell'efficienza. Le une e le altre fanno riferimento al drammatico aumento delle diseguaglianze che può verificarsi nei sistemi globalizzati moderni, diseguaglianze gravemente «inique», tali da minare il principio dell'«eguaglianza delle opportunità», ma anche fortemente «inefficienti», tali cioè da condizionare negativamente le possibilità di sviluppo e di incremento della produttività.
      Per l'iniquità basta pensare alla distribuzione del reddito e al ruolo giocato in essa dalla distribuzione della ricchezza, assai più concentrata di quella del reddito e generante le disparità con l'impatto maggiore sull'equità intergenerazionale e dunque sulla condizione giovanile, paradossalmente,
 

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però, le meno studiate e contrastate politicamente. Uno dei fattori rilevanti dell'incremento generale delle diseguaglianze deriva proprio dalla crescente «concentrazione» della ricchezza: negli Stati Uniti d'America (USA) nel 1995 il patrimonio netto medio dell'1 per cento più ricco della popolazione era pari a 4,6 milioni di dollari, mentre il patrimonio netto medio del quintile più ricco - a cui tale 1 per cento appartiene - era pari a 550.000 dollari e il patrimonio del quintile più povero era di soli 450 dollari; nel Regno Unito nel 1996 il 93 per cento della ricchezza nazionale apparteneva al 50 per cento più benestante della popolazione; in Italia nel 1998 il 10 per cento delle famiglie più abbienti possedeva il 46,4 per cento dell'intero ammontare di ricchezza.
      I rischi di inefficienza si palesano più chiaramente quando ci si richiama alle caratteristiche dell'«economia della conoscenza», il dispiegamento delle cui potenzialità è strettamente condizionato al possesso, da parte dei cittadini, di requisiti stringenti di istruzione, sapere, abilità, competenza e investimento nel proprio capitale umano. La concentrazione nelle mani di pochi di tali requisiti per un verso crea ulteriori disparità, per un altro può inceppare lo stesso processo di avanzamento di un'innovazione alimentabile solo mediante un'apprendimento esteso e a larga diffusione. Altrettanto è vero dei meccanismi concorrenziali, alterati e perfino bloccati nel dinamismo ad essi intrinseco quando le risorse sono concentrate nelle mani di pochi.
      Le motivazioni tanto di equità quanto di efficienza sono ancora più importanti nell'indurre a correggere quello squilibrio nelle «opportunità di accesso» che sembra riguardare soprattutto i più giovani, visto che la maggior parte degli individui privi di proprietà si situa proprio nella fascia di età compresa fra i venti e i trenta anni e che molti di essi, specie i meno abbienti, non possiedono le risorse per compiere gli studi universitari, per avviare un'attività o, perfino, per accendere un mutuo. Sia le motivazioni in termini di equità che le motivazioni in termini di efficienza conducono, dunque, a una sottolineatura del principio della «eguaglianza delle opportunità» per i più giovani, per il quale «nessuno è inerentemente migliore degli altri e ognuno ha diritto a una quota equa di risorse iniziali con le quali avviare e progettare la propria vita futura». Questo principio sostiene altresì che, se i prerequisiti del successo sono la maggiore istruzione e l'investimento sul capitale umano, nessuna organizzazione economica efficiente può permettersi di discriminare sulla base di criteri diversi dalle capacità e dai talenti delle persone. Tutto ciò è ancora più vero per i giovani, cioè per coloro che hanno un'età in cui scelte e opportunità sono determinanti per il futuro, per i quali, in particolare, la disponibilità di un capitale significa maggiore libertà effettiva, maggiore autonomia, maggiore responsabilità.
      Due implicazioni di questa impostazione meritano di essere sottolineate:

          1) viene adottata una versione «forte» delle nozioni sia di «opportunità» - non limitata alla versione debole di «parità formale dei punti di accesso» - sia di «inclusione sociale», richiedente l'attivazione di risorse specifiche di progettualità. Infatti, se le opportunità sono viste come «opportunità concrete», come «capacità effettive» - secondo le parole di Amartya Sen - di essere, di fare, di avere e di sapere, l'inclusione nella cittadinanza richiede che siano fornite a ciascuno condizioni di eguaglianza nella «libertà effettiva» di perseguire il proprio «progetto di vita»;

          2) viene superato il modo caricaturale con cui è posto spesso il tema dell'equità intergenerazionale, in contrapposizione con quello dell'equità infragenerazionale, come se fosse il perseguimento dell'equità fra i membri di una stessa generazione a compromettere - bruciando tutte le risorse a disposizione - il perseguimento dell'equità fra generazioni diverse.

      In realtà, equità intergenerazionale e infragenerazionale sono correlate da due

 

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semplicissime ragioni: a) l'ineguaglianza infragenerazionale accresce la mortalità, la morbilità, le carenze di abilità e di saperi della popolazione e quindi fa deperire sia il «capitale sociale» sia il «capitale produttivo» da trasferire alle nuove generazioni; b) il risultato di una generazione è il punto di partenza della successiva. Occorre, dunque, superare l'impasse rappresentato dalla presupposizione, nella società, di un «gioco a somma negativa» e immaginare la possibilità di «giochi a somma positiva»: cosa a cui mira, per l'appunto, l'ipotesi di una dotazione di capitale per i giovani volta a incrementare le risorse complessive di progettualità, di socialità e di attività (nel senso proprio anche di «tassi di attività») di cui la nostra società può disporre.
      Il valore del principio dell'eguaglianza delle opportunità è lo stesso che giustifica la connessione tra la fornitura di una «dotazione di capitale» ai giovani e l'imposta sulle successioni e donazioni. Non a caso i progetti che si conoscono a livello internazionale per offrire «dotazioni di capitale» ai giovani (Ackerman e Alstott, 1999, Kelly e Lissauer, 2000, Le Grand e Nissan, 2000, Reich, 2001) prevedono tutti un aggancio con l'imposta sulle successioni e addirittura un suo incremento, nel presupposto che la ricchezza accumulata da una generazione debba contribuire allo sviluppo della successiva. Proprio basandosi sull'enfatizzazione di quel principio un liberale come John Stuart Mill vedeva nell'imposta sulle successioni la principale imposta di uno Stato volto a offrire il massimo di ricompensa economica allo sforzo individuale e perciò il massimo di eguaglianza dei punti di partenza a tutti coloro che entrano nella competizione economica.
      In Italia la riforma realizzata dal centro-sinistra nel novembre 2000 (articolo 69 della legge n. 342 del 2000) dell'imposta sulle successioni e donazioni aveva di fatto già abolito l'imposta per i patrimoni medio-bassi, lasciandola solo sui grandi patrimoni. Infatti, era stata eliminata l'imposta sull'asse ereditario, l'imposta su ciascun erede era stata trasformata da progressiva in proporzionale, le aliquote erano state ridotte da 30 a 3 (del 4, del 6 e dell'8 per cento a seconda del grado di parentela), erano state individuate soglie consistenti al di sotto delle quali non si pagava nulla (350 milioni di lire per familiare e 1 miliardo di lire nel caso di minori o disabili), la determinazione del valore dell'azienda veniva effettuata sottraendo il valore dell'avviamento (corrispondente spesso a circa il 50 per cento del valore complessivo), le aziende agricole trasmesse per linea diretta erano totalmente esenti, le donazioni tra vivi avevano aliquote ancora più favorevoli per i riceventi (3,5 e 7 per cento a seconda del grado di parentela).
      Grazie alla riforma già realizzata, l'Italia si presentava come il Paese europeo in cui si pagava la più bassa imposta sulle successioni: le aliquote in Belgio, Germania e Svezia erano il 30 per cento, in Spagna il 34 per cento, in Francia e in Gran Bretagna il 40 per cento. Eliminarla totalmente, tuttavia, è stato un grave errore. In primo luogo, perché non c'è Paese dell'Unione europea - a cui l'Italia appartiene con ruolo e peso primari - e nemmeno Paese sviluppato tout court - con la sola eccezione degli USA dell'amministrazione repubblicana - che ha in animo di fare ciò. In secondo luogo, perché le caratteristiche della riforma italiana del 2000, lungi dall'aumentare il contenzioso, erano tali da ridurre la base imponibile e con essa il contenzioso, consentendo al tempo stesso introiti di cui è futile dire che «erano così bassi che tanto valeva abolire l'imposta di successione», perché essi erano invece dimensionati proprio in relazione alle finalità perseguite. In terzo luogo, perché l'acquisizione dei proventi di questa imposta nient'altro significa se non la disponibilità da parte dei giovani più fortunati - che, senza alcun loro merito specifico, ma, per l'appunto, grazie alla «fortuna», grazie a ciò che John Rawls chiama «i frutti casuali e arbitrari della lotteria naturale», iniziano con un patrimonio più consistente le loro esperienze di lavoro e di vita - a pagare un moderato «contributo di solidarietà» in favore dei
 

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giovani che le iniziano senza nulla, spesso senza neanche un titolo di studio adeguato.
      Sono queste, del resto, le misure con cui si radica tra i cittadini il senso di appartenenza a una collettività, caratterizzato da valori e aspirazioni comuni da cui deriva anche quella particolare disponibilità a sostenersi vicendevolmente che è racchiusa nel principio dell'«eguaglianza delle opportunità». Principio che, proprio perché motore di un sistema di valori condiviso, richiede per sua natura processi di realizzazione intrinsecamente democratici, l'opposto di quell'«esproprio dei patrimoni per ogni generazione» che solo per dileggio - e non per gusto del paradosso - può essere considerato la sua logica ed estrema implicazione. Sono significative le parole che alcuni redditieri americani hanno usato per respingere il proposito del Presidente degli USA Bush di abolire la tassa di successione, proposito considerato «cattivo» (bad) per la democrazia, l'economia e la società in quanto «arricchirebbe ulteriormente i milionari americani mentre sottrarrebbe le risorse fiscali necessarie ad alleviare le condizioni di vita delle famiglie che faticano a sbarcare il lunario». Più nel dettaglio, la misura proposta si propone di realizzare, a beneficio dei più giovani, le seguenti finalità:

          1) intervenire il più possibile «a monte», in un momento prossimo, e non successivo, alla formazione delle diseguaglianze;

          2) «promuovere» (capacità, abilità, competenze, sapere) piuttosto che «risarcire» (per mancanze, carenze, deprivazioni);

          3) adottare una nozione forte, e non debole, di «eguaglianza delle opportunità» (dunque, una nozione non in contrapposizione con quella di «eguaglianza dei risultati», da perseguire con altri strumenti, complementari e convergenti) per incidere sulla distribuzione iniziale di risorse (istruzione, formazione eccetera);

          4) influire, oltre che sulla distribuzione iniziale di risorse, sul prezzo che gli individui possono ottenere per le loro risorse nel momento in cui le scambiano sul mercato (andando, per esempio, oltre il salario minimo);

          5) incoraggiare e premiare comportamenti positivi (la fruibilità del capitale è legata al completamento della formazione prevista dall'ordinamento, al rispetto della legge e all'assunzione di ulteriori impegni).

      L'utilizzo è condizionato al rispetto di determinati obblighi e comportamenti positivi quali:

          1) il completamento della formazione prevista dall'ordinamento (diploma di scuola secondaria di secondo grado, obbligo formativo, apprendistato);

          2) l'assenza di condanne penali (nei casi di devianza gli utilizzi sarebbero limitati e controllati).

      La fruizione è legata in modo specifico alla formazione post-secondaria qualificata di varia natura: universitaria, altri corsi riconosciuti, tirocinio professionale, formazione legata all'attività lavorativa eccetera, ma anche all'avviamento di un'attività imprenditoriale e professionale.
      I beneficiari sono giovani residenti nell'intero territorio nazionale che abbiano completato la formazione prevista dall'ordinamento (per il 2006 ciò riguarda i giovani tra i quindici e i diciotto anni di età che dovranno assolvere i loro obblighi nella scuola, nella formazione professionale di competenza regionale, nell'apprendistato), che facciano domanda e rispondano ai requisiti e ai criteri previsti per l'inserimento in graduatoria.
      L'articolo 25 prevede, per un periodo sperimentale di due anni, l'attribuzione ad ogni cittadino italiano, al compimento dei diciotto anni di età, di una dotazione finanziaria di capitale di almeno 15.000 euro per la formazione post-secondaria qualificata o per l'avviamento di un'attività imprenditoriale o professionale. La dotazione è attribuita a titolo di credito senza interessi; una quota parte di tale dotazione

 

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potrà essere attribuita ai giovani a titolo di contributo a fondo perduto.
      Il Governo dovrà presentare annualmente una relazione al Parlamento sui risultati della sperimentazione. Il Ministro dell'economia e delle finanze potrà prolungare, sentito il parere delle competenti Commissioni parlamentari e della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997, la sperimentazione per un periodo non superiore a due anni.
      L'articolo 26 stabilisce (comma 1) che i soggetti beneficiari devono avere completato i percorsi di istruzione e di formazione e non avere subìto condanne penali (in questi casi potranno essere previste modalità specifiche e controllate di erogazione della dotazione da attuare con la collaborazione dei servizi di assistenza sociale).
      Il comma 2 precisa che il giovane può usufruire della dotazione finanziaria di capitale entro il venticinquesimo anno di età (per esempio al momento di iscriversi ad un master), salvo le deroghe che potranno essere previste dai provvedimenti regionali attuativi. Il comma 3 stabilisce che la dotazione finanziaria di capitale è destinata alla formazione o all'avviamento di un'attività imprenditoriale o professionale, ovvero ad entrambe le finalità qualora l'avvio di un'attività necessiti anche di momenti formativi.
      Allo scopo di orientare i programmi di formazione e di avvio di attività imprenditoriali o professionali dei giovani che richiedono la dotazione finanziaria di capitale, le regioni e le province autonome, previa consultazione delle parti sociali e delle associazioni di categoria, rendono noti (comma 5) la domanda prevedibile di figure professionali e il fabbisogno di nuove attività per la produzione di beni e di servizi, ai fini di uno sviluppo equilibrato e innovativo del sistema economico-sociale del territorio.
      I benefìci di cui alla presente proposta di legge sono cumulabili con il prestito d'onore già previsto per i disoccupati meridionali (comma 6).
      Il rimborso della dotazione finanziaria di capitale (comma 7), al netto dell'eventuale quota di contributo a fondo perduto, dovrà avvenire entro un massimo di quindici anni dalla data di erogazione del primo rateo della dotazione, secondo modalità stabilite dai provvedimenti regionali attuativi che potranno prevedere eventuali dilazioni e rateizzazioni anche in riferimento al reddito dichiarato dal beneficiario nell'anno fiscale precedente la data fissata per il rimborso.
      L'articolo 27 istituisce i fondi regionali per l'eguaglianza delle opportunità dei giovani.
      Il Ministro dell'economia e delle finanze (comma 1) stipula una convenzione con l'Associazione bancaria italiana relativa all'erogazione, da parte di banche ed istituti finanziari, della dotazione finanziaria di capitale ai giovani, stabilendo un tasso di interesse sui crediti omogeneo su tutto il territorio nazionale. L'onere degli interessi, la garanzia per la copertura dei rischi e l'eventuale erogazione di parte della dotazione finanziaria di capitale a titolo di contributo a fondo perduto sono a carico dei fondi.
      Lo stesso Ministro (comma 2) provvede annualmente, sentita la Conferenza unificata, a ripartire tra le regioni e le province autonome una somma pari al gettito (circa 1.500 miliardi delle vecchie lire) dell'imposta sulle successioni e donazioni, ripristinata nella forma previgente alla data di entrata in vigore della legge n. 383 del 2001. La ripartizione avviene in relazione al numero dei cittadini residenti nelle singole regioni e province autonomeche compiono diciotto anni di età nel corso dell'anno e al reddito pro capite medio di ogni singola regione e provincia autonoma.
      Le regioni e le province autonome (comma 3), con proprio provvedimento (legge o regolamento), provvedono ad istituire il fondo regionale e provinciale, a stabilire le modalità di attribuzione della dotazione finanziaria di capitale, l'eventuale quota della dotazione attribuita, a titolo di contributo a fondo perduto, le modalità per il cofinanziamento del fondo
 

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da parte degli enti territoriali e locali e da parte dei privati, nonché a definire le modalità per la compilazione delle graduatorie regionali e delle province autonome ed i criteri per il monitoraggio sull'effettivo utilizzo delle dotazioni di capitale erogate.
      Le erogazioni liberali in denaro a favore dei fondi da parte di privati cittadini, di società, associazioni ed enti, potranno essere dedotte dall'imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e dell'imposta sul reddito delle società (IRES) (comma 4).
      Qualora una regione o una provincia autonoma non utilizzi in parte o per intero le risorse del proprio fondo entro il 31 dicembre, tali disponibilità saranno ripartite tra le regioni o le province autonome che avranno alla stessa data utilizzato interamente le somme loro assegnate (comma 5).
      Il titolo III si chiude con la disposizione che introduce il conto di sicurezza individuale (articolo 28).
      Si realizza un sistema di tutela particolare per i soggetti impegnati in attività di carattere temporaneo, idoneo a consentire loro il soddisfacimento di rilevanti esigenze di vita nonostante il carattere aleatorio dei loro redditi da lavoro.
      Il titolo IV è dedicato alla copertura finanziaria (articolo 29).
      Gli oneri per l'attuazione della legge sono stimati a regime nell'ordine di 4,5-5 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006.
 

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